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Allitterazione: cos’è, esempio, funzione

Nel corso della nostra carriera scolastica ci sarà capitato di ascoltarla, ma anche in altri contesti spesso si fa riferimento ad essa. Stiamo parlando dell’allitterazione, una delle figure retoriche più usate in poesia, perchè va a incidere sul suono dei versi scritti. Non a caso, proprio per l’abbondante uso fatto dai poeti e dai letterati, nei propri componimenti, viene definita la figura fonetica. E’ una delle figure di suono più note. Fin dai tempi della letteratura latina la ritroviamo peraltro in versi passati alla storia.

Allitterazione figura retorica del suono

Ma quale è il significato di allitterazione? Proviamo a spiegare cosa significa allitterazione in modo semplice, facendo ricorso alle conoscenze maturate tra i banchi di scuola, ma soprattutto evidenziando concreti esempi di allitterazione  Per mettere nero su bianco una figura retorica come l’allitterazione bisogna ripetere un suono, o addirittura una serie di suoni che siano simili o uguali. L’omofonia, l’assimilazione di suoni, serve a rendere una frase più armoniosa: le conferisce melodia anche se si tratta di un testo in prosa.

Allitterazione esempi

La poesia comunque resta il terreno preferito dove dare sfogo a figure retoriche foniche ed all’allitterazione in particolare. Come vedremo negli esempi di frasi con allitterazione, fanno ricorso a questa figura retorica esponenti di assoluto rilievo della nostra letteratura quali Dante Alighieri e Francesco Petrarca, ma in epoca più recenti anche grandi autori come Ugo Foscolo. Quest’ultimo, ad esempio, la adopera nel verso della poesia passata alla storia come In morte del fratello Giovanni.

“La madre or sol, suo dì tardo traendo” è in particolare il verso nel quale Foscolo mette in atto uno degli esempi più noti di allitterazioni. Volete sapere dove si trova in queste poche parole la figura retorica? La possiamo rintracciare nella ripetizione dei suoni s (sol, suo), t (tardo, traendo)  e d (dì, do).

Celeberrimo anche il ricorso a questa figura retorica che ne fa Dante Alighieri, nel corso de La vita nova, dedicato alla sua musa ispiratrice, Beatrice. Così scrive l’uomo che ha consegnato all’umanità il capolavoro della Divina Commedia: “Tanto gentile e tanto onesta pare, la donna mia quand’ella altrui saluta”. Sulla scorta dell’esempio precedente riferibile a Petrarca, non ci sarà difficile rintracciare l’allitterazione nell’uso della parola tanto, del suo la e nella t.

Sulla scia di Dante, c’è un altro monumento della letteratura italiana che fa ricorso all’allitterazione in uno dei versi più significativi della sua opera, Il Canzoniere. Stiamo parlando di Francesco Petrarca e del verso in cui scrive: “di me medesimo meco mi vergogno e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto…”. Il me iniziale, la r e la v finali aprono e chiudono con le allitterazioni questo verso.

Significato allitterazione

Il termine allitterazione, peraltro, è figlio di un’epoca precedente, ma non lontana a Dante e Petrarca. Deriva, infatti, dal latino ed in particolare dal termine allitteratio. Nel nostro linguaggio è diventato sinonimo di ripetizione di fonemi, ossia suoni, rintracciabili all’inizio di parole che sono state poste consecutivamente in una frase e sono ovviamente legate tra loro anche per senso logico. Non è insomma un esercizio di stile fine a se stesso.

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