Home » Sintomi gastrointestinali fino a sette mesi dopo l’infezione da coronavirus

Sintomi gastrointestinali fino a sette mesi dopo l’infezione da coronavirus

Uno studio statunitense conferma come Sars-CoV-2 possa danneggiare anche l’apparato digerente. “Nascondendosi” a lungo dopo la negativizzazione e provocando nausea, vomito e diarrea

Nausea, vomito e diarrea. Tra le manifestazioni sistemiche dell’infezione da Sars-CoV-2, ci sono anche quelle gastrointestinali. Problematiche che – come dimostrato già in seguito alle prime ondate di contagi – possono manifestarsi nella fase acuta della malattia. Ma – ed è questa la novità – anche a diversi mesi di distanza. Questa la scoperta formulata da un gruppo di ricercatori della Stanford University e pubblicata sulla rivista «Cell», da cui emerge che la persistenza di queste problematiche si registra nelle persone in cui il coronavirus risulta rilevabile nelle feci anche a diversi mesi di distanza dalla guarigione.

Perdita di appetito, nausea, diarrea, reflusso gastroesofageo, eruttazione, vomito, distensione addominale e sangue nelle feci. Sono queste le manifestazioni più frequenti – a carico dell’apparato digerente – che chi ha avuto Covid-19 può registrare (almeno) fino a tre mesi dopo. Un aspetto emerso da diversi studi, tra cui uno pubblicato nei mersi scorsi sulla rivista «The Lancet Gastroenterology & Hepatology». Dall’indagine, condotta su 117 pazienti ricoverati per Covid-19 in 12 ospedali nelle province di Hubei e Guangdong nel corso della prima ondata, era emerso che quasi in 1 caso su 2 (nel 44 per cento dei casi) la malattia aveva lasciato «scorie» a livello gastrointestinale. Una circostanza che gli specialisti avevano riscontrato più di frequente in chi, al momento del ricovero, presentava dispnea (fame d’aria) e mialgia (dolori muscolari). Aspetto confermato anche in quest’ultimo studio, condotto coinvolgendo 113 persone che avevano avuto una forma di Covid-19 da lieve a moderata.

Per dieci mesi, i ricercatori hanno ricercato la presenza del genoma di Sars-CoV-2 nelle loro feci. E in questo caso il riscontro è avvenuto per un arco di tempo superiore rispetto al passato: nel 12 per cento dei casi fino a quattro mesi dopo, in poco meno del 4 per cento anche sette mesi più tardi. La presenza dell’Rna virale è avvenuta in persone che, a distanza di tempo, manifestavano sintomi gastrointestinali. Da qui la conferma che Sars-CoV-2 può infettare il tratto gastrointestinale. E che quando la «colonizzazione» è prolungata, i sintomi possono perdurare anche per mesi dopo la negativizzazione del tampone.